venerdì 18 settembre 2015

Scarabelli su Trieste: non chiamiamola città metropolitana

La riforma “Delrio” stabilisce che, laddove esista una Città Metropolitana, la Provincia viene “sciolta” e fatta coincidere con la Città Metropolitana.
Cos’è la Città Metropolitana? ..Le città metropolitane esistono in numerosi Paesi e in tutti i continenti. Solo per citare tre noti esempi europei: la “Città-Stato” di Berlino, l’Area Metropolitana di Barcellona, la Greater London Authority. Il politico, in particolare il legislatore, non può disconoscere le ragioni effettive che giustificano l’istituzione della città metropolitana.

Cosa sono e quali caratteristiche devono avere le città metropolitane

Con città metropolitana s’indica in generale un’ampia area urbanizzata e densamente popolata, costituita da un centro, la città principale, e da una serie di agglomerati urbani e d’insediamenti produttivi che si relazionano in maniera intensa e permanente con il centro. La catalogazione di un territorio come metropolitano in Italia è sprovvista di criteri oggettivi e affidabili, restando demandata (anche nelle più recenti disposizioni legislative) alla valutazione discrezionale del legislatore (che ha usato i relativi parametri di giudizio in maniera poco ponderata e troppo benevola), anche se sono noti studi che hanno suggerito la definizione delle realtà metropolitane sulla base di compiute analisi delle ragioni sociali, economiche e urbanistiche. L’intensa concentrazione di attività produttive, l’elevata densità abitativa, l’espansione urbanistica, la crescita demografica, l’interdipendenza dei centri abitativi che formano un unico complesso aggregato, sono elementi, e di conseguenza questioni, che caratterizzano le realtà metropolitane. Nonostante il percorso normativo delle città metropolitane cominciato nel 1990, con la legge n.142, individuasse come aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni (non meglio identificati) i cui insediamenti avessero con essi rapporti di stretta integrazione territoriale, economica, sociale e culturale, finora si è fatto ben poco e solamente dopo l’annunciata soppressione delle Province. Un fattore di criticità della mancata istituzione va, innanzitutto, individuato nell’estrema eterogeneità delle aree qualificate come metropolitane dalle diverse leggi successive alla “142”, sia quanto a struttura urbanistica e alla stessa configurazione della concentrazione urbana, sia quanto a composizione socio-economica, sia, ancora, quanto al rapporto demografico e territoriale tra il comune capoluogo e l’hinterland. Tale ovvia disomogeneità ha implicato un’estrema difficoltà nel disegnare un assetto ordinamentale valido per tutte le realtà considerate o alle stesse adattabile, con la conseguenza di un rifiuto dei territori a importare modelli di governance non appropriati alle proprie esigenze. Basti pensare che, mentre in alcune città la conurbazione si estende per tutto il territorio provinciale ed anche oltre (Milano e Napoli), in altre la configurazione geografica rivela una concentrazione molto ristretta (rispetto ai confini della provincia) dell’area qualificabile come metropolitana. E’ il caso di Trieste che tende a giustificare le proprie caratteristiche metropolitane non tanto con l’area extraurbana dell’altopiano carsico ma con l”annessione” dell’area goriziana, in particolare del monfalconese. E’ più semplice dire che si vuole istituire un nuovo ente accorpando le due province. Per quanto il legislatore abbia omesso di definire i requisiti minimi di esistenza di una città metropolitana, appare evidente che l’insediamento di un ente locale dotato di funzioni ulteriori rispetto a quelle attribuite (su territori paragonabili) alle province si giustifica solo in presenza di quelle caratteristiche di intensa conurbazione sopra segnalate. Ora, è sufficiente scorrere l’elenco delle città metropolitane istituite per avvedersi che alcune delle città ivi previste possono essere qualificate come metropolitane solo con molta fantasia. Un taglio riformista, serio e obiettivo, dovrebbe circoscrivere l’elenco delle città metropolitane a quelle poche che nel nostro Paese esigono un ordinamento differenziato e che possono essere identificate nelle uniche e reali metropoli di Roma, Milano e Napoli.  L’esigenza di istituire direttamente con legge i nuovi enti, senza attendere iniziative locali (comprensive anche dell’individuazione dei comuni facenti parte della città metropolitana) ha imposto di adottare il metodo (senz’altro grezzo) di stabilire la coincidenza del territorio delle province con quello delle città metropolitane. Orbene, basta conoscere minimamente le diverse realtà geografiche delle aree interessate, per accorgersi che, mentre tale coincidenza ha un senso per alcune (Napoli), non ne ha alcuno per altre (Trieste, ma anche per città più grandi come Torino).

Il governo dell’area vasta in Friuli Venezia Giulia deve tener conto della specialità policentrica

In Italia il tema dell’avvio delle città metropolitane sembra diventato ormai ineludibile e il processo preordinato al loro concreto funzionamento non appare più arrestabile. Come già detto, oltre alle correzioni ordinamentali che servono ad assicurare l’operatività dell’istituzione, sarebbe bene che il legislatore ripensasse anche l’elenco delle città metropolitane. Ovviamente il completamento e il perfezionamento della disciplina delle città metropolitane non potranno prescindere da una più organica, sistematica e strutturale iniziativa di riforma delle istituzioni territoriali. Con la soppressione delle Province il compito di individuare le modalità di esercizio sul territorio delle funzioni di area vasta (ambiente, gestione delle scuole di secondo grado, strade extraurbane) in un territorio policentrico come quello della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia andrà affidato alle nuove Unioni Territoriali Intercomunali e proprio in ragione della specialità policentrica della nostra Regione. Mentre lo “stiracchiamento” della Città di Trieste verso Gorizia ha ben poco di metropolitano (se è per ottenere i fondi europei ci sono ben altri istituti – es. GECT) non è più possibile riunire, come vorrebbe il Presidente della Provincia di Udine on.Pietro Fontanini, le tre province friulane. Basti pensare al tentativo fallito dell’Associazione interprovinciale della Comunità delle Province Friulane e alle ultime dichiarazioni di rappresentanti istituzionali della Destra Tagliamento: “piuttosto che riunire Pordenone a Udine …” E’ molto approssimativo affermare che nella Regione Friuli Venezia Giulia, in una nuova architettura ordinamentale degli enti di area vasta, possano bastare la Città metropolitana di Trieste e la grande Provincia di Udine (o del Friuli) sul modello del Trentino-Alto Adige. Sono proprio le ragioni policentriche del Friuli storico stesso (unito nella bandiera dell’Udinese o nei vessilli alpini della Julia ma sempre meno nel drappo dell’aquila patriarcale) e dell’area giuliana (Trieste città, litorale adriatico orientale, altopiano carsico), assieme alle specificità delle minoranze linguistiche: friulana, slovena e tedesca; che rendono improponibile una semplificazione bipolare.

Arnaldo Scarabelli
- consigliere provinciale PD Udine -

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